Il neuromarketing è l’applicazione delle neuroscienze al marketing.
Mixando elementi di neuroscienza, psicologia ed economia comportamentale, studia il comportamento dei consumatori per comprendere come il loro cervello prende le decisioni di acquisto.
In particolare, il neuromarketing è utile a indagare i processi decisionali inconsci, che sono responsabili della maggioranza dei comportamenti d’acquisto: sembra che addirittura il 95% delle decisioni venga preso irrazionalmente.
L’obiettivo del neuromarketing è dunque studiare le risposte che il nostro cervello elabora in risposta a uno stimolo (una pubblicità, un packaging particolare, un logo colorato). Conoscere questi meccanismi consente di prevedere in qualche modo la risposta del consumatore e quindi indirizzarlo verso l’acquisto, creando campagne di marketing sempre più efficaci.
Quando è nato il neuromarketing?
Il neuromarketing è una disciplina relativamente recente: i primissimi sviluppi si hanno tra gli anni Ottanta e Novanta, quando si cominciano a indagare le connessioni tra le neuroscienze e il marketing, con l’obiettivo di studiare le risposte emotive dei consumatori alle pubblicità.
Si parla però ufficialmente di neuromarketing a partire dal 2002, quando Ale Smidts (professore alla Rotterdam School of Management) ha coniato questo termine per indicare come le tecniche neuroscientifiche potessero essere applicate al campo del marketing.
Da quel momento sono state avviate delle ricerche sempre più approfondite che hanno aperto la strada a tecniche di marketing sempre più puntuali e sofisticate.
Quali sono gli strumenti del Neuromarketing
Il termine “Neuromarketing” si riferisce vagamente alla misurazione dei segnali fisiologici e neurali per ottenere informazioni dettagliate sulle motivazioni, preferenze e decisioni dei clienti, che possono aiutare a informare la pubblicità creativa, lo sviluppo del prodotto, i prezzi e altre aree di marketing.
La scansione cerebrale, che misura l’attività neurale, e il tracciamento fisiologico, che misura il movimento oculare e altri indicatori di tale attività, sono i metodi di misurazione più comuni.
I due strumenti principali per la scansione del cervello sono la fMRI e l’EEG.
Il primo (risonanza magnetica funzionale) utilizza forti campi magnetici per monitorare i cambiamenti nel flusso sanguigno attraverso il cervello e viene somministrato mentre la persona si trova all’interno di una macchina che effettua misurazioni continue nel tempo.
Un EEG (elettroencefalogramma) legge l’attività delle cellule cerebrali utilizzando sensori posizionati sul cuoio capelluto del soggetto; può tenere traccia dei cambiamenti nell’attività nell’arco di frazioni di secondo, ma fa un pessimo lavoro nell’individuare esattamente dove si verifica l’attività o misurarla nelle regioni profonde e sottocorticali del cervello (dove si svolgono molte attività interessanti).
Una fMRI può scrutare in profondità il cervello ma è scomoda e tiene traccia dell’attività solo nel corso di diversi secondi, il che potrebbe non consentire fugaci incidenti neurali. (Inoltre, le macchine fMRI sono molte volte più costose delle apparecchiature EEG, in genere costano circa 5 milioni di dollari con spese generali elevate, contro circa 20.000 dollari.)
Gli strumenti per misurare i proxy fisiologici dell’attività cerebrale tendono ad essere più convenienti e più facili da usare. Il tracciamento oculare può misurare l’attenzione (tramite i punti di fissazione degli occhi) e l’eccitazione (tramite la dilatazione della pupilla); la codifica dell’espressione facciale (leggere il minimo movimento dei muscoli del viso) può misurare le risposte emotive; e la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria e la conduttività cutanea misurano l’eccitazione.
L’interesse per le neuroscienze dei consumatori è decollato a metà degli anni 2000, quando i ricercatori delle business school hanno iniziato a dimostrare che la pubblicità, il branding e altre tattiche di marketing possono avere impatti misurabili sul cervello.
Nel 2004 i ricercatori della Emory University hanno servito Coca-Cola e Pepsi ai soggetti in una macchina fMRI. Quando le bevande non venivano identificate, i ricercatori hanno notato una risposta neurale coerente. Ma quando i soggetti potevano vedere la marca, le loro strutture limbiche (aree cerebrali associate alle emozioni, ai ricordi e ai processi inconsci) mostravano un’attività potenziata, dimostrando che la conoscenza della marca alterava il modo in cui il cervello percepiva la bevanda. Quattro anni dopo, un team guidato da Hilke Plassmann dell’INSEAD ha scansionato il cervello dei soggetti del test mentre assaggiavano tre vini con prezzi diversi; i loro cervelli registravano i vini in modo diverso, con firme neurali che indicavano una preferenza per il vino più costoso.
In realtà, tutti e tre i vini erano uguali. In un altro studio accademico la fMRI ha rivelato che quando i consumatori vedono un prezzo può cambiare il loro calcolo mentale del valore: quando il prezzo veniva visualizzato prima dell’esposizione al prodotto, i dati neurali differivano da quando venivano visualizzati dopo l’esposizione, suggerendo due diversi calcoli mentali: “È questo prodotto vale il prezzo?” quando il prezzo veniva prima e “Mi piace questo prodotto?” quando il prodotto è arrivato per primo.
Come le aziende utilizzano il neuromarketing
Gli strumenti di neuromarketing che le aziende hanno oggi a disposizione sono tantissimi e le tecniche utilizzate sono davvero molto varie. Noi consumatori spesso e volentieri non ci accorgiamo neanche di come il nostro comportamento venga indirizzato a nostra insaputa.
Quante volte hai messo nel carrello un pacchetto di caramelle mentre aspettavi alla cassa? Quelle caramelle non erano lì per caso ma perché diversi gruppi di ricerca hanno compreso che i consumatori sono disposti a spendere cifre irrisorie per prodotti non necessari, dopo che hanno già selezionato i beni di prima necessità e più costosi.
Questo ovviamente è solo un esempio.
Ecco alcune tecniche di neuromarketing molto utilizzate dalle aziende.
Eye tracking
Questa tecnica permette di monitorare lo spostamento oculare del consumatore mentre naviga su un sito o mentre guarda un video o un’immagine. In questo modo si possono comprendere quali elementi vengono registrati prima e con più attenzione dall’utente, quali vengono ignorati e in che ordine.
Questo è utilissimo per capire gli elementi deboli di un sito web e comprendere se l’usabilità è adeguata.
IAT Test
Questa è una delle tecniche di neuromarketing più recenti, utilizzata per misurare ciò che il consumatore pensa ma non dice in modo esplicito. Di solito si propongono domande molto brevi ad un gruppo di consumatori e le risposte sono in grado di misurare la forza con cui sono legati a un brand, a un valore, a un logo piuttosto che a un altro.
Il meccanismo avviene quindi a livello inconscio.
Elettroencefalogramma
Monitorando l’attività cerebrale di un soggetto esposto a un determinato stimolo (un nuovo prodotto, una pubblicità, un video o qualsiasi altra cosa), si possono notare delle risposte involontarie sulla base del flusso sanguigno e della sua affluenza alle diverse aree del cervello.
Analizzando le risposte, le aziende sono in grado di modificare le proprie campagne di marketing o il proprio prodotto, proponendo quello che ha dimostrato attivare più interesse e coinvolgimenti nella mente dei consumatori.
Quali sono i rischi del neuromarketing
Il neuromarketing si presenta quindi oggi come una disciplina molto interessante per qualsiasi azienda ma anche per i lavoratori del marketing.
Tuttavia, è importante fare alcune precisazioni che riguardano sia i limiti che i rischi di queste tecniche.
Innanzitutto, il neuromarketing è un campo ancora in evoluzione e, nonostante ci siano stati incredibili passi avanti tecnologici negli ultimi anni, non è certamente una scienza esatta. Chi vuole avvalersi di queste tecniche, inoltre, dovrà prevedere un investimento notevole perché gli strumenti utilizzati sono altamente sofisticati e servono dei professionisti che guidino lo studio.
Ci sono poi tutte le questioni etiche legate al neuromarketing, che rimane oggi una disciplina controversa. Basti pensare a che cosa succederebbe se tecniche del genere venissero utilizzate per promuovere prodotti dannosi per la salute come alcool e tabacco o pericolosi, come le armi (negli Stati Uniti). Come qualsiasi mezzo, strumento o tecnica, la risposta è sempre nell’utilizzo che ne viene fatto. Che il neuromarketing debba essere gestito in modo oculato è senza dubbio vero, ma si tratta comunque di un mezzo molto potente per le aziende che vogliono migliorare il proprio business.